13 giugno 2011

Anna di campagna e Anna di città (+ imperdibile quiz!)

Non vi avevo ancora detto che durante il lungo, assolato, ozioso e satollo pomeriggio pasquale J., la mia collega svedese, era passata per la mia magione ad approfittare di una fetta di colomba, un frammento d'uovo di cioccolato e, soprattutto, di un caffè.
Gentilissima, non si era presentata a mani vuote, ma aveva bussato alla porta portando con sè un cucciolo di pomodoro (stando alle sue parole), tenero e fragile.
Io l'ho accolto fiduciosa, l'ho chiamato Giò, come ogni Pomodoro che si rispetti, e ho iniziato ad allevarlo, speranzosa e inesperta, come chiunque sappia di non avere il benchè minimo pollice verde, ma si senta investito da una chiamata che non può rifutare.
L'altro ieri Giò era cresciuto abbastanza da meritarsi un vaso più importante, e un po' di attenzioni extra che negli ultimi mesi, per ragioni variegate, gli avevo fatto mancare.
Armata di paletta improvvisata con cucchiaione da cucina ho effettuato, sotto l'esperta supervisione dell'agreste Subirotamic, il trasloco di Giò, ma ... il dubbio che aveva cominciato a instillarsi nella mia mente seppur cittadina si è fatto più concreto.
Ahimè, caro Giò, a me tu non sembri proprio un cucciolo di pomodoro!
Voi cosa ne dite?
Allego foto dell'esemplare, nella speranza che qualche "topo di campagna" riesca a illuminare questo mio baratro di ignoranza in fatto di piantuzze, tipico da "topo di città".
Metto in palio, per la risposta migliore, una cartolina dell'Isola, sperando di invogliare il mio amato pubblico ad aiutare me, il mio pollice verde, e il futuro di quest' ortaggio misterioso.
Fatelo per Giò!

09 giugno 2011

Dell'eterno dualismo autoctono VS turista

Vivendo qui da ormai quasi due anni, mi sorprendo a volte in alcuni pensieri e comportamenti ai miei occhi degni di una picciola riflessione.
Come quando, per esempio, sento parlare italiano in traghetto, e mi precipito emozionatissima a seguire i malcapitati connazionali, salvo poi realizzare che, 1) non ho niente da dire, 2) le loro facce non mi ispirano simpatia neppure a queste latitudini, 3) l'ultima cosa che ho voglia di fare dopo otto ore di ufficio è raccontare per l'ennesima volta cosa ci faccio qui o se mi piace o meno viverci.
Per fortuna, a questo punto, non ho ancora aperto bocca; individuo allora la prima panchina al sole e sottovento, mi ci seggo, e mi autocompiaccio del mio autocontrollo.
Perfidamente poi, assaporo il momento in cui gli ignari attori di questo mio personale cortometraggio, perderanno il treno per la capitale, perché il bus dal traghetto arriva troppo tardi per fare il biglietto, o per una seppur minima (e accettabile e normale dal punto di vista del disgraziato turista) esitazione.
Infatti eccoli là, a sfilare con espressione smarrita al di là del mio finsetrino. Io dentro, loro fuori.
Credo di averlo non so come ereditato dai miei insigni natali veneziani, questo malevolo gusto nell'eterna contrapposizione dell'autoctono contro il turista.
Come sappiamo far perdere il viandante noi, tra calli e campielli, non lo sa fare nessuno.
Vero è che sappiamo anche scioglierli, quei nodi di strade che abbiamo intrecciato sulla mappa.
E con queste piccole cortesie, ci guadagniamo il sorriso dell'ignaro e sperduto turista.
Gran Signori sì, e con stile.