02 aprile 2025

Microrecensione #245 : "Storia di chi fugge e di chi resta" di E. Ferrante.

 01/02/2025 - 07/02/2025 "Storia di chi fugge e di chi resta" di E. Ferrante.

Dopo aver letto il primo e il secondo volume, non ho potuto far altro che continuare la saga. Un lato positivo di questi libri dal successo universale è che si trovano relativamente facilmente anche nelle biblioteche fuori patria, e pure in lingua originale!

Così, un sabato pomeriggio grigio, sono passata per la biblioteca centrale della città, che purtroppo in quella di quartiere è più difficile trovare libri in idiomi vari, e me ne sono uscita con il volume sotto braccio. Ormai scemato l'entusiasmo per la serie che me ne avrebbe fatto acquistare i volumi, rimane comunque la curiosità di sapere come continuerà e soprattutto come andrà a finire questa storia, e la consapevolezza che, ad ogni modo, la scrittura è innegabilmente ben studiata. 

Questo terzo volume, a tratti un po' noioso e prevedibile, come ormai sono lo diventati i personaggi, si è comunque fatto leggere in fretta. Subirotamic, nonostante del libro né dell'intera serie non abbia letto una riga, è riuscito a suo modo, di riflesso e per mio sentito dire, a farne la migliore microrecensione: un polpettone. 

Una descrizione perfetta, a mio avviso, perché in effetti, dopo lo slancio del primo libro e la creazione ad arte di personaggi e universo, ora non resta altro che far passare quest'universo attraverso gli anni e le vicende di un'Italia dal dopoguerra in poi, con tutti gli avvicendamenti politici e sociali del caso. Personaggi noti, vicende note, il risultato è appunto a tratti noioso e prevedibile, ma, come in effetti il polpettone, ancora godibile e gustoso. 

E dato che non di solo polpettone vive questa lettrice, ogni tanto, per carità, lo si può mangiare pure con soddisfazione.

Ancora un libro per terminare la serie: lo leggerò volentieri. Fossero ancora due o tre, ecco, probabilmente lascerei qualche fetta sul piatto. 

17 marzo 2025

Una mia certa idea di integrità, ovvero, dei buchi alle orecchie e di altre cicatrici.

Da piccola non ho fatto i buchi alle orecchie. Non era nella tradizione familiare, la mia mamma non li aveva, e a me, sinceramente, non è neanche mai passato per la mente di farli. Col passare degli anni ho visto le mie amiche farsi i buchi, le ho accompagnate a fare il secondo, il terzo buco nelle varie farmacie o oreficerie veneziane, ma neppure in quei frangenti mi è mai sfiorata l'idea che quella fosse una cosa per me. 

Neanche in quello strano periodo di idee campate per aria che è l'adolescenza e la prima gioventù, il pensiero mi ha mai toccata. Anzi, man mano che crescevo, una mia certa idea di integrità si faceva più definita, per cui una persona integra e tutta di un pezzo come quella che volevo essere, o diventare, non aveva certo tatuaggi, o orecchini, o trucchi, a snaturarne la forma e il suo essere originale. 

Sono passati alcuni anni da quei tempi strampalati, e questa mia certa idea di integrità è cresciuta con me. È cresciuta quando ho ricominciato a mangiare la carne dopo 10 anni, mediando la mia idea di integrità e la mia idea di famiglia, di condivisione, di educazione. È cresciuta quando ho cominciato a fare delle cose sul serio: partire, tornare, lasciare, prendere, fare progetti, impegnarsi per questi progetti, ma forse, e soprattutto, fare progetti insieme ad altre persone, che in quanto portatrici di altre certe loro idee di integrità, ha implicato inevitabilmente un certo grado di flessibilità, caratteristica non contemplata nella mia originale idea di integrità.

Eppure, è probabilmente per questa mia certa idea di integrità che non ho voluto fare anestesie quando i miei bimbi sono venuti al mondo, per presentarmi a loro com'ero, onestamente, dal primo istante. Non me ne sono mai pentita. 

Poi ho deciso di sostituire dei pezzettini di me con titanio, ceramica, ed altri materiali vari, ed è stata una piccola rivelazione: ero sempre io, nonostante tutto.

Per alcune cose della vita ci sono un prima e un dopo molto definiti, ma con il passare del tempo i contorni tendono a sfumare. Per fortuna ci sono le cicatrici a ricordarci che il tempo, e i giorni, non sono tutti uguali. Il giorno del titano è stato uno di questi spartiacque, e una cosa che mi ha insegnato è che alla fine, con o senza titanio, rimaniamo sempre noi. Non ci definiscono, ma scandiscono la nostra storia, e contribuiscono a raccontarla.

E allora, come ho una pancia morbida a scandire il prima e il dopo T. e A., come ho una lunga cicatrice a scandire il prima e il dopo titanio, perché non farsi i buchi alle orecchie, cicatrici di una scelta assolutamente non necessaria, fatta solo e puramente per avere qualcosa di bello e luccicante a cui pensare la mattina, un pensiero allegro in più?

Mi fa sorridere pensare di averci messo 40 anni a formulare questo pensiero, a prendere il coraggio a due mani, e la mia idea di integrità sotto braccio, e a farmi fare i buchi alle orecchie.

Mi fa sorridere anche che questa mia decisione sia più o meno contemporanea a quella delle coetanee di mia figlia, cinquenni, che cominciano a farsi i buchi. Probabilmente loro non li fanno con la mia stessa confusione in testa, ma molto più lucidamente: hanno in mente il luccichio dei gioielli e una scintilla di estetica rudimentale, instintiva e bellissima, puramente ed esclusivamente per loro stesse.

Sarebbe così bello se riusciressero, con questo gesto, a portarsi dietro un pezzettino di questa estetica e di questa loro gioia scintillante per tutta la vita: glielo auguro di cuore.

Per quanto mi riguarda, non solo non mi sono, a distanza di un anno, ancora pentita della mia scelta dei buchi alle orecchie, ma addirittura ho deciso che presto avrò altro titanio e ceramica ad aiutarmi a continuare questo mio percorso arzigogolato.

Perché fin qua è stato un bel percorso, cicatrici di ogni sorta e dimensione incluse. 


05 febbraio 2025

Microrecensione #244: "Il desiderio di Dio" di D. Baddiel

 07/01/2025 - 24/01/2025 - "Il desiderio di Dio" di D. Baddiel.

Babbo Natale l'ha portato alla mia mamma, e Babbo Natale glielo ha rubato poco dopo per leggerlo, dato che la mamma lo aveva già finito, questo libro sottile.

Un libro sottile, infatti, che parla però, come si può immaginare dal titolo, di un tema grande, e vasto, e universale. 

Un tema così grande, e così vasto, e così universale, che vederlo racchiuso in un libro così piccolo, potrebbe far storcere il naso a qualcuno. Quello che ho apprezzato, è che l'autore se ne rende conto, e non ha troppe pretese. È un libro serissimo scritto da un comico intelligente, un lungo monologo, che offre un punto di vista, quello dell'autore, per lui scontato, e per il lettore? Chissà, non per forza. I passaggi, logici o meno logici, saranno giudicati da ciascuno nel segreto del proprio divano, del proprio letto, sulle rive del proprio comodino.

Peccato per la traduzione, in qualche tratto un po' stonata nella sua scolasticità, il libro è ad ogni modo divertente e di piacevole lettura, e di sicuro porta a qualche riflessione, ad oguno la sua. L'universalità della domanda, e, appunto, del desiderio di Dio, rimane, anche alla fine del piccolo saggio, un bellissimo mistero, e la sua necessità di per sé certo non aiuta a schierarsi per l'una o per l'altra fazione, se davvero alla fin fine esistono fazioni contrapposte.