28 luglio 2010

Io, John, Babele e ritorno.

Tornare al lavoro dopo un mese in giro per il mondo non è facile per nessuno, diciamolo. Ma c'è di peggio.
Tornare al lavoro, tornare all'Isola, tornare all'estate che sembra inverno, ai pile, ai golfini, ai sandali portati anche con il freddo ai piedi, alle sciarpe sovrapposte, ai cappucci impilati, ai pantaloni da pioggia messi in borsa, che non si sa mai!, a quella voglia irrefrenabile di coperta...e trovarsi un John in ufficio.
Un giovane John, uno scaltro studente, promessa della matematica, pronto per le sue sei settimane di stage, e maledettamente inglese.
E io? che fino a ieri si parlava in dialetto, io che faccio? Le mie rinomate doti linguistiche vacillano, davanti alle consonanti aspirate del John, alle vocali mangiate, alle frasi accennate, ma soprattutto, davanti alle fatidiche, onnipresenti, domande finali: isn't it?
La mia recente tecnica di sopravvivenza si basa essenzialmente su tre tipi di risposta:
  1. Yes, of course...( accompagnato da sorriso di sufficienza, applicabile nel caso si intuisca un senso di banalità nell'affermazione precedente)
  2. O yes, definitely! (grande sorriso, e si spera che l'affermazione fatta richieda uno smodato consenso)
  3. No, I don't think so. (corrugamento della fronte e delle sopracciglia, da effettuare nel caso si intuisca che il John stia dicendo un'eresia)
L'arte della corretta applicazione delle tre diverse opzioni non è, ahinoi, affatto immediata; la percentuale d'errore è alta, soprattutto perchè, essendo alto anche il John, è difficile per me intravedere i micromovimenti del volto che potrebbero aiutare nella comprensione del pensiero espresso.
Ah, se solo dedicassi metà del tempo che impiego a crucciarmi di queste difficoltà linguistiche a fare quello che dovrei fare!
Ah, quanti progressi l'umana scienza avrebbe fatto!
Ah, se.
Nel frattempo la mia padrona di casa mi ha regalato due grasse zucchine dell'orto.
John o non John, in fondo, tornare qui non è poi così male...