02 agosto 2018

Microrecensione #144: "Macerie prime - Sei mesi dopo" di Zerocalcare

15/07/2018"Macerie prime - Sei mesi dopo" di Zerocalcare.
Sei mesi dopo, il secondo volume tira le fila delle storie iniziate nel primo, e finisce - sospiro di sollievo per tutti - bene, o più precisamente, finisce il meglio possibile, ed è divertente, e commovente, e non delude, no, neanche stavolta, e ci sono tutte le cose che ci si aspetta di trovarci dentro, a un libro di Zerocalcare. Leggetelo!

Ma in questo ritratto della mia generazione (che consiglio soprattutto, come d'altronde il primo tomo, ai non appartenenti alla suddetta generazione), io chi sono? Perché viene da chiederselo alla fine: io, da che parte sto?

Io sono una di quelli che ha lasciato il raccordo, traditrice del popolo fino alla morte - secondo la definizione di pagina 182. Sono una di quelli che sono spariti, inghiottiti da un internazionalismo forzato, non ci sono più per nessuno dei miei amici rimasti a casa, alleanze rotte. 
Lotto per esserci, con i dolci-amari mezzi moderni, che ti illudono di poter compensare l'assenza, ma sostanzialmente no, sei altrove. Sapeste quanto lotto per esserci, prendendo più aerei e treni di tutti, ma sostanzialmente no, ci sono solo nelle sporadiche e eccezionali occasioni in cui ci sono, in una realtà alterata, e per la maggior parte del tempo, non raccontiamo balle, sono altrove.
Non faccio parte, quindi, dell'esercito dei buoni, che solo insieme sarà in grado di scatenare la rivolta e cambiare la sorti dell'intera squadra.

Vero è, però, che ci sono, a mio modo, per gli amici recenti, incontrati per strada, persi, ritrovati. Ci sono per il mio nuovo villaggio, per raccogliere i cocci di altri reduci dell'espatrio come me, miei simili.
Perché in questo nostro lungo espatrio, checché ne dicano gli opinionisti in voga, non è che siamo qui ad allargare i nostri orizzonti, diventare cittadini globali e/o migliori, non ci arricchiamo in ogni momento della cultura emanata dai nostri fratelli provenienti da nazioni o mondi diversi dal nostro.
Non c'abbiamo tempo per queste cose, che dobbiamo capire come si pagano le tasse nel nostro nuovo paese, dobbiamo capire come funziona il sistema sanitario, e scolastico, come si pagano le bollette, le cose importanti, le cose noiose. Tutte le cose che diamo per scontate, in Italia, dobbiamo riconquistarcele a una a una altrove, e non c'è tempo, e non c'è energia, per fare altro. È così che ci tengono buoni, per sfinimento.

E in questo nostro lungo espatrio, con una squadra in continua evoluzione, si parla del lavoro che non c'è, o paga male (sì, anche in Svizzera), si parla della frustrazione della disoccupazione (sì, anche in Svizzera), si parla di zero assistenza alla famiglia (sì, anche, e soprattutto, in Svizzera).
Si parla dell'organizzazione familiare (con pregi e difetti) nell'assenza non solo dei nonni, ma anche di zii, cugini, parenti di ogni ordine e grado, ma soprattutto nell'assenza più totale di una comunità di riferimento, che sia geografica, o spirituale, o di qualsiasi tipo vogliate una comunità.
Si parla di incertezza, cercando di ricostruire una vita, e di costruire da zero un futuro, all'interno di una struttura sociale e in una lingua che semplicemente non conosciamo.
Si parla di isolamento, e della difficoltà di mantenere un rapporto sano con le famiglie lontane, qualsiasi cosa voglia dire famiglia una volta privata del concetto di quotidianità.
Si parla della prossima tappa, del filo sul quale si cammina, del prossimo viaggio a casa per continuare a marcare un territorio, per non farsi espellere per sempre, per cercare di appartenere ancora a qualche luogo.
A ben pensarci, quindi, i grandi temi di uno Zerocalcare, che è rimasto a Roma, sono straordinariamente simili ai miei, che ho lasciato il raccordo.
Lavoro, famiglia (in tutte le sue declinazioni), solitudine, inadeguatezza, incertezza, impotenza: non sono partita poi così lontano!
L'unica cosa che cambia, tra me e uno Zerocalcare, è il tipo di squadra: non più gli stessi giocatori dalle elementari, non più giocatori di cui conosci il contesto.
A differenza di chi è rimasto, cerco di portare avanti le mie piccole alleanze, battaglie, e conversazioni con una squadra in continua evoluzione, gente che si unisce, poi cambia paese, ma poi torna, magari, chissà. Gente di cui ignoro il contesto, la famiglia, la storia, e viceversa, ma che cerco di conoscere nella condivisione.
È un gioco sostanzialmente diverso da quello che si gioca con la squadra di sempre, ma non è poi così male. 
In fin dei conti poi, visto che i grandi temi, a questo punto, sono così trasversali, da Roma a Losanna, mi rallegra la speranza di poter sempre riprendere con disinvoltura le fila di quelle alleanze e conversazioni intraprese tempo fa con la squadra di sempre, interrotte dall'ultimo treno, dall'ultimo aereo, dall'ultimo "ciao".