Quando ho deciso di lasciare la carriera accademica a motivarmi erano un misto di delusione per il mondo accademico e per me stessa in quel mondo, una voglia di confrontarmi con tutto quello che c'era fuori, un desiderio di definirmi altro dal mio titolo di studio, che mi stava stretto, una decisione di dedicare tempo ed energia ad altri progetti. Ma non pensavo davvero quanto questa decisione avrebbe influito su tutti i processi che ho innescato nel momento in cui l'ho presa. O più che non pensarci, non ne realizzavo la portata.
L'altro giorno, ho raccolto un segno.
Primo colloquio con la maestra di scuola di T., primo anno di scuola obbligatoria in un paese che non è il mio in una lingua che non è la mia. Il colloquio mi si presentava più come un esame che una semplice chiacchierata genitori-insegnante.
La maestra, gentilissima e non di primo pelo, subito si è premurata di chiederci da quanto fossimo in Svizzera e che lavoro facessimo, immagino per inquadrare almeno un poco il contesto familiare. Terrore nei suoi occhi quando le abbiamo raccontato di aver traslocato qui per via di un contratto da postdoc, terrore che però si è presto placato quando le abbiamo riferito di aver entrambi lasciato l'accademia per delle posizioni in azienda.
- Ma quindi ora avete dei contratti indeterminati ? Non dei post doc? è scivolato alla maestra
- Sì sì, indeterminati.
Sospiro di sollievo della maestra (e nostro).
E niente, che avere in classe figli di genitori stranieri e postdoc sia l'incubo di ogni maestra elementare (per via della lingua, della cultura, per via dell'avere a che fare con una bambino sostanzialmente solo e sradicato dal suo contesto, magari più volte nel giro di pochi anni, etc etc) non era difficile da immaginare, ma vederlo chiarissimo negli occhi della maestra del tuo bimbo, lo ammetto, è un'altra cosa.
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