16 settembre 2020

Il mare, dopo la primavera che è stata.

L'estate 2019 ci aveva visti confinati in una nazione senza sbocco sul mare, viste le dimensioni esagerate della mia pancia prima, le dimensioni minuscole di una neonata poi, senza dimenticare l'assenza di un qualsiasi documento valido per l'espatrio della medesima neonata fino a fine novembre.

L'estate 2020 ci stava per vedere confinati in casa, quand'ecco che improvvisamente i confini si sono aperti e alla faccia delle mie meste previsioni personali per questi mesi appena passati, si è potuti stare meglio, si è potuto attraversare le Alpi, e si è potuto, finalmente, andare al mare.

Il nostro primo mare in quattro.

Che vuol dire cercare di insegnare a T. a nuotare, convincere A. a non gattonare sul bagnasciuga puntando verso il largo, metterli entrambi in un carretto e pedalare sotto il sole verso una spiaggia isolata e bellissima.

Che vuol dire costruire castelli di sabbia grandissimi.

Che vuol dire andare a letto (presto) con il sale sulle pelle, trovare sabbia in tutte le tasche, e in tutti i pannolini, rincorrere pesciolini volando sulle praterie di posidonia sapendo che quelli sono gli unici cinque minuti in cui il mare è tutto per te. Il resto del tempo lo condividi con qualcuno appeso a un braccio o al collo, e va bene così. 

Che vuol dire cene sulla spiaggia, al tramonto, perché la costa ovest ti regala pure questo, che vuol dire chiacchiere infinite con i vicini di ombrellone, che quest'anno tutti hanno voglia di parlare con chiunque, e, dopo la primavera che è stata, direi che va proprio bene così.





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