05 ottobre 2013

L'invitata (e vissero tutti felici e contenti).

La mia fiaba di inizio Settembre si conclude nel migliore dei modi: con un matrimonio rosa tramonto, specchiato d'acqua, bianco di velo ricamato, e perle, e di panna sulle fragole rosse. 
Comincio dalla fine per dirvi subito che il matrimonio non è il mio, che io son una semplice invitata, ed è questa la chiave per far finir la fiaba, e farla finire bene.
L'inizio, della fiaba, si perde nelle nebbie veneziane della mia infanzia, quando le nostre famiglie, e noi pargoli con loro, si frequentavano spesso, tra cene, vacanze e scampagnate.
E' così che l'idea mi è venuta. Così, e studiando Storia. 
Che poi io da piccina volevo fare l'archeologa, e poi, chissà cos'è successo, ora mi ritrovo quassù a studiare il mare, ma questa è un'altra Storia, la mia, ve la racconto un'altra volta, per oggi accontentiamoci di una fiaba, di un lieto fine, e di un augurio.
Dicevo, è così che, forse in macchina tra Venezia e Prapian, forse ad una cena, non so, il concetto cristallino che se fossimo vissuti in una società in cui la norma consiste nel matrimonio combinato (possibilità che esploravo grazie ai libri di Storia) noi due saremmo stati destinati, una volta cresciuti, ad un inevitabile matrimonio, organizzato dai nostri padri latifondisti e feudali con precisi accordi, prese forma concreta e pesante in un angolo non tanto remoto del mio cervello.
Ero cosciente del fatto che, effettivamente, non vivessimo affatto in una società da matrimonio combianto, però...
Capivo che era un'assurdità, però...
Così questa remota reminiscenza feudale è rimasta lì, nella mia testa, addormentata e innocua, ma lì.
Non che avessi niente contro T., ma si sa, "l'amor no xe un brodo de fasioi" (N.d.T. "l'amore non è un brodo di fagioli", che pare un'ovvietà, ma se ci pensate bene, non lo è affatto, fior fior di dibattiti sull'argomento, tanto che si potrebbe argomentare per un blog intero che invece sì, in effetti l'amore si annida in, si riflette in, si misura con, è, un brodo di fagioli, ma anche questa è un'altra storia, per un'altra volta, e per questo post non polemizziamo con la saggezza popolare).
Gli anni passavano, e l'età si avvicinava pericolosamente a quella in cui i nostri signori padri latifondisti avrebbero chiamato l'araldo per far declamare nelle pubbliche piazze, a suon di tamburo e tromba, il contenuto di quelle bolle e pergamene in cui avevano pianificato il nostro avvenire e sancito il nostro amore.
Invece, ad un certo punto di questa Storia, è semplicemente arrivata una principessa, da un feudo lontano lontano, che ha preso T. e lo ha rapito dalla cera lacca del suo destino.

L'arrivo.
Mi ritrovo quindi ad essere parte sì, di questo lieto fine, ma, come dicevo, da invitata, che piange quando vede entrare una sposa in Chiesa, che si emoziona della sua emozione.
Un'invitata speciale, però, perché non so quanti, tra i banchi della Chiesa addobbata festa, mentre gli sposi finalmente firmano tutte le scartoffie del caso, si immaginano quest'immensa sala d'arme dove invece sono io, drappeggiata di velluto pesante, la sala, di odore di fuoco, illuminata agli angoli dai riflessi di maestose armature, e questo caminetto acceso, in cui crepita la pergamena del nostro accordo matrimoniale, in cui brucia il feudalesimo e il passato, per far posto a un futuro nuovo di zecca, ancora tutto da scrivere, vertigine di possibilità per i due sposi felici, e per l'invitata, e per tutti gli invitati, pure.

Lieto fine.


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