Non importa se sei immerso nella programmazione più sordida, se stai
cercando di tirare cavi da 1200 euro senza far danni, se stai
attaccando etichette a computer, chiavette, tastiere, per non
confondere quale computer comanda quale dei più svariati strumenti
oceanografici presenti a bordo, quando si salpa, si salpa, e ci si
affaccia al parapetto, si guarda il cemento della riva allontanarsi,
la bocca del porto avvicinarsi, il profilo della città svanire.
Ci si muove, a bordo, all'unisono, perfetta coreografia, alle prime
onde, alle quali ci abituremo in fretta, ma non adesso, non ancora,
abbiamo ancora un piede a terra.
E poi il faro rosso e bianco, e poi l'Oceano grande.
E quei colli bizzarri dei quali ora si vede la fine, o l'inizio,
sorgere dal mare mercurio.
E non importa se è la prima volta che sei in mare in vita tua, che sia
la quinta, la decima, o che tu in mare ci lavori, e su questa nave
spendi metà del tuo tempo: quando si salpa, è difficile non voltarsi a
guardare la terra, non soprendersi della sua varietà, dei suoi colori.
Perfino il capitano, l'ho visto!, ha lasciato la postazione per un
attimo, per guardare la terra, per scattare una foto.
Chissà quante foto ha lui, di partenze, di arrivi, di porti lontani
che non si sa se sta per raggiungere, o se ha appena lasciato.
Fuori ad ogni modo inizia l'onda lunga e sonnolenta dell'Atlantico,
che è fatto d'argento, o almeno a me pare, con gocciole d'oro oltre
quelle nuvole lontane, dietro cui si nasconde il Sole.
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