Tempo di celebrare, ieri, la fine delle operazioni e la rotta verso casa. Sole, oceano, qualche spruzzo di balena. Cosa manca? La spiaggia? Ma è presto fatta: con quel che rimane dei vari campioni di fondo del mare si stende un tappeto sabbioso sul ponte della nave, bobine di cavi fan da tavolini, il Gran Pavese sventola alla brezza calda della sera, musica, qualche mostro gonfiabile dà l'ultimo tocco di normale stabilimento. Ah no, ancora una cosa. Un castello di sabbia, con quattro bastioni sormontati da piccole bandierine olandesi da cocktail. Devo ammettere un po' di emozione, nel dar forma a sabbia raccolta a duemila metri di profondità, granelli fini, abituati a un mondo sotto pressione, freddo, silenzioso, improvvisamente nudi di fronte al tramonto, friabili mattoncini del mio bastione.
E non appena anche il ponte sul fossato è ultimato, si può partire con il barbecue, le chiacchiere, con i ringraziamenti vicendevoli, cullati dall'onda, cotti dal sole.
È passato un due alberi, all'orizzonte, vele spiegate contro l'oro colato dal sole. Penso a cosa pensano, quei naviganti. Penso che non possano proprio pensare che qui a bordo c'è un castello che viene dall'abisso, e che noi, finalmente, stiamo tornando a casa.
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